LA MOTIVAZIONE SPORTIVA

COS’E’ LO SPORT?
Attività che letteralmente ‘porta’ fuori aspetti del sé, una forma di creatività espressiva di tipo motorio, cognitivo ed emotivo. Lo sport allena al rispetto delle regole, alla responsabilità, alla socializzazione, alla cooperazione, insegna a pensare, prevedere e mettersi proprio in gioco. Palestre e campi sportivi hanno il pregio di essere istituzioni educative al pari della famiglia e della scuola, utilizzando un apprendimento ludico.
PERCHE’ FARE SPORT? OVVERO LA MOTIVAZIONE
Per apprendere la tecnica di una disciplina e incrementare le prestazioni, ma soprattutto per la voglia di giocare e stare insieme.
DIFFERENZE DI GENERE LUNGO LA LINEA PSICOEVOLUTIVA
Il bambino dai 5 ai 7 anni si avvicina a uno sport perché vuole giocare, divertirsi, sperimentare il proprio corpo e le capacità motorie acquisite fino a quel momento. La dimensione cognitiva del bambino di questo stadio è basata sul pensiero concreto, si fida solo di ciò che vede e che lo appaga subito. Privo di programmazione, non fissa obiettivi troppo lontani e coglie solo le sollecitazioni del momento. Il soddisfacimento dei propri bisogni corrisponde al trarre il piacere dall’azione sportiva – sport come gioco in sensu strictu– che gli permette di scaricare le energie col movimento e imparare le regole della comunità (la palestra come scuola, allievi come compagni di apprendimento, l’allenatore come il maestro).
Il processo di previsione delle azioni si fa più marcato intorno agli 8-10 anni: ma la variabilità del raggiungimento delle acquisizioni porta genitori e allenatori a pretendere risultati in bambini non ancora pronti. Questo è il motivo per cui può capitare di assistere a dei veri e propri drop out (abbandono dell’attività sportiva) quando si verifica una forte pressione sociale esterna (genitori proiettati sulle prestazioni dei figli) o allenatori che spingono per risultati maggiori delle loro capacità. Ragazzini di questo tipo possono sperimentare frustrazione e ansia da prestazione e il mancato contenimento delle reali possibilità motorie e cognitive.
Nella preadolescenza (11-14 anni) il ragazzo comincia a familiarizzare con il pensiero astratto, ponendosi obiettivi a lungo temine e impegnandosi nell’azione motoria. Nell’adolescenza (15-20 anni) invece, il giovane sperimenta stadi psicomotori più simili a quelli dell’adulto, pur attraversando un periodo emotivo-relazionale piuttosto complicato. Il passaggio dall’età infantile a quella adulta, la cosiddetta età di mezzo, lo porta a dover di volta in volta definire la personalità per prepararsi al raggiungimento della propria autonomia. La dimensione cognitiva dell’adolescente è infatti improntata ad un pensiero logico-formale, orientato quindi alla critica, al simbolismo, al ragionamento ipotetico-deduttivo. Nello sport si attua con ideazione di strategie di gara particolari, tecniche di allenamento, nuovi rapporti con gli allenatori.

FATTORI MOTIVAZIONALI ALL’AZIONE SPORTIVA
Acquisizione di status: il desiderio di essere popolare come il beniamino, farsi notare dagli altri, trarre piacere dalle sfide, gareggiare e dimostrare di essere bravi in qualcosa, ricevere premi o medaglie (rinforzi positivi). Questa dimensione è costituita per la maggior parte da fattori esterni al soggetto, mentre solo una (trarre piacere dalle sfide) si riferisce a fattori interni al giovane e completamente dipendenti dal suo modo di agire (locus of control interno).
Forma fisica e abilità: sentirsi in forma, essere fisicamente attivo, esperire le sensazioni corporee. Fattore predominante nell’età adolescenziale, in cui la scoperta del nuovo corpo attraverso lo sviluppo li porta ad una nuova consapevolezza. Se ne desume che ad un efficiente fattore fisico corrisponda un miglioramento della componente tecnico-tattica.
Fare squadra: il desiderio di gruppalità, archetipo psicologico, cooperazione e obiettivo di vittoria. L’unione fa la forza.
Rinforzi esterni: il sostegno dei genitori, degli amici, la soddisfazione ricavata dal rapporto con l’allenatore. Coetanei e adulti collaborano alla formazione dell’autostima dell’atleta.
Amici/divertimento: il desiderio di divertirsi, il desiderio di stare con gli amici e conoscere nuove persone, il desiderio di viaggiare (trasferte). Aspetti affiliativi dell’esperienza sportiva: la socializzazione al di fuori della famiglia e all’interno di un gruppo di coetanei.
Consumare energia: il bisogno di scaricare il nervosismo, ‘effetto catartico’. Gestione delle emozioni che devono essere riconosciuti, contenuti e soddisfatti – per quanto possibile – dagli adulti (genitori, allenatori) con i quali i giovani atleti interagiscono (Cei, 2005).

MOTIVAZIONI E DIFFERENZE DI GENERE ED ETA’
Le motivazioni delle ragazze: divertimento, l’apprendimento di nuove abilità, l’agonismo, far parte di una squadra (la gruppalità).
I maschi presentano quasi gli stessi fattori motivazionali, ma seguendo un diverso ordine gerarchico: misurarsi con la propria efficacia, il divertimento, l’agonismo e l’apprendimento nuove abilità.

Nel gruppo dei più giovani (9-11 anni) è maggiormente dominante la dimensione affiliativa (fare sport con gli amici, incontrarne di nuovi e divertirsi), nelle fasce d’età successive emergono più forti il desiderio di eccitamento e di entusiasmarsi (12-14 anni) mentre solo successivamente (oltre 14 anni) si evidenzia il desiderio di raggiungere e mantenere la migliore forma fisica e la competenza sportiva. In riferimento a quest’ultima fascia d’età è stato riscontrato che i maschi nella loro pratica sportiva attribuiscono un importanza particolare all’Acquisizione di status, al vincere, ricevere premi, mentre le femmine danno maggior importanza alla dimensione Amicizia/Divertimento e Forma fisica.
Programmi d’allenamento che non tengono in considerazione il bisogno di affiliazione e divertimento apportano all’attività fisica un’elevata ansia competitiva e scarsa motivazione interna, da indurre i drop out. Ciò che resta nel giovane non più atleta o in quello che sperimenta frequenti insuccessi sportivi è la riduzione del senso di autoefficacia, che genera inevitabilmente un vissuto di frustrazione con sentimenti aggressivi che possono rivolgersi all’esterno o all’interno (Giovannini, 2002).

MISURAZIONE DELLA MOTIVAZIONE
Ryan e Deci (1985) propongono “La teoria dell’autodeterminazione” basata sulla motivazione intrinseca e la motivazione estrinseca.
Motivazione intrinseca ed estrinseca non sono indipendenti ma si trovano su un continuum che va dalla assoluta mancanza di motivazione (amotivation) al livello più alto di motivazione intrinseca.
Un atleta motivato intrinsecamente deciderà di praticare sport per scelta personale, perchè gli piace farlo e sentire il suo corpo, imparare movimenti e ottenere risultati dal suo lavoro. Questa dimensione è caratterizzata da un locus of control interno e gli individui considerano le loro azioni auto -determinate e volitive.
Gli atleti estrinsecamente motivati nello sport partecipano perché associano ai risultati che possono ottenere alle ricompense esterne di genitori, allenatori, compagni di squadra o popolarità in generale (rinforzi esterni). Lo sport rappresenta un mezzo per ottenere qualcosa che desiderano qualcosa (la medaglia d’oro per un atleta olimpionico).
Infine l’assenza di motivazione costituisce uno stato psicologico in cui le persone non hanno né un senso di efficacia né un senso di controllo rispetto al conseguimento di un risultato desiderato. Può essere quindi indicativa di un’alta probabilità di abbandono sportivo perché gli atleti non percepiscono una spinta né intrinseca né estrinseca a parteciparvi.